CENTRO STUDI TRADIZIONI POPOLARI PER LA RICERCA

E LA DOCUMENTAZIONE DEMOETNOANTROPOLOGICA

“ALFONSO M. DI NOLA”

Nota bio-bibliografica di Alfonso M. di Nola
a cura di Ireneo Bellotta
 
Gli anni giovanili: dalla lotta sindacale agli studi sulla storia delle religioni.
 

Alfonso M. di Nola nasce a Napoli il 9 gennaio 1926 da una famiglia napoletana le cui lontane origini ebraiche sono perdute nel tempo, mai da lui dissimulate, anzi apertamente proclamate anche quando l’Italia fascista promulgò, sulla scia della Germania, le leggi razziali.

Studioso e lettore infaticabile, fin da ragazzo inizia ad interessarsi al tema della religiosità con un approccio dichiaratamente laico derivante dall’esperienza di lotta e dalla formazione marxiana acquisite durante gli anni Quaranta, periodo in cui viveva e lottava accanto agli operai dei pastifici di Gragnano condividendo con loro battaglie volte a denunciare le condizioni disumane nelle quali vivevano ed erano costretti a lavorare. Quest’ambiente diviene, come lui stesso scrive: «La mia università, un’autentica scuola di vita». Formazione marxiana che acquisisce durante gli anni al liceo Plinio Seniore di Castellammare di Stabia, da insegnanti come i fratelli Libero ed Ennio Villone, il primo tra i capi del movimento anarchico italiano e direttore di «Bandiera Rossa», una delle prime riviste anarchiche italiane, il secondo militante del Partito Comunista. Entra, giovanissimo, clandestinamente, nel Partito Comunista napoletano vivendone in prima persona la storia iniziale insieme al gruppo di militanti rientrati dalla Tunisia, come Valenzi e Gomez d’Ayala. In questo periodo rifiuta più volte l’offerta di candidature a cariche pubbliche, anzi ricorda, con rammarico, (Attraverso la storia delle religioni, Roma, Di Renzo Editore, 1996, p. 10), che «la classe operaia, a Napoli, non è mai riuscita ad esprimere un suo autentico rappresentante», in quanto fra essa ed il marxismo «si è interposta la stratificazione tipicamente napoletana degli avvocati, un solo operaio, Fasano, fu eletto deputato, ma morì tre giorni dopo».

Alla fine degli anni Quaranta inizia la lunga e costruttiva collaborazione con l’editore Ugo Guanda che, passata la sconvolgente ed oscena avventura dell’ultima guerra, riprende la sua attività editoriale cercando di ricostruire, proprio su quel cumulo di macerie che ormai l’uomo era diventato insieme alle sue città, quelli che Alfonso di Nola chiama «i sentieri dell’anima» invitando a cercare dentro ognuno di noi la «vena della sorgente seppellita»: la poesia. Guanda fa risorgere dalle sue ceneri, come quella omonima della leggenda, «la Fenice», che prima dell’evento bellico si era imposta all’attenzione dei lettori per l’importanza delle opere proposte, tra cui la poesia di Garcia Lorca e di Stephan George, rispettivamente nelle traduzioni di Carlo Bo e Leone Traverso. Nella Nuova Fenice escono due primi grossi volumi: uno sulla poesia italiana contemporanea, aggiornatissimo, un altro su quella inglese.

La collaborazione con Guanda, saldata anche da un profondo rapporto d’amicizia, dà vita ai suoi primi lavori: nel 1950 esce Autunno del mondo (Parma, Guanda, 1950) un volumetto di poesie che di Nola invia, subito dopo la fine della guerra, a Parma, spacciandolo come traduzione di testi raccolti dalla voce di un soldato tedesco. Il classico espediente letterario non serve a celare l’identità dell’autore e, nel 1950, la raccolta è pubblicata con il suo nome: Alfonso di Nola. Una raccolta di liriche che ci mostra un di Nola giovane, carico di una tenerezza e sincerità serena ma anche di passionalità: una passione che avviluppa, attraverso alcune brevi liriche, la tragedia umana appena conclusasi che ha coinvolto milioni di individui privi d’ogni difesa; ci parla di queste persone non in modo apologetico ma da ateo-religioso, come lui amava definirsi, che cerca nell’uomo il volto di Dio con piena coscienza del momento storico. E’ strano parlare di di Nola in questi termini, è un aspetto della sua personalità che pochi conoscono e che mai traspare dalla sua sconfinata opera sia scientifica sia divulgativa, anche se questa vena poetica intimamente non si è mai esaurita e solo ora è presentata al pubblico dalla «Rivista Abruzzese» (dal n. 2 del 1998).

Nel 1954, con la pubblicazione di La visione magica del mondo.Saggio di filosofia della religiosità. (Parma, Guanda, 1954) di Nola inizia, ufficialmente, ad indagare scientificamente il mondo dell’esperienza religiosa con l’occhio del laico sempre rispettoso d’ogni dato culturale. Considerava l’esperienza religiosa una materia «che in ogni caso concerne la parte più umana dell’uomo, i temi della sua angoscia creaturale e della sua speranza, i suoi sogni, i grandi miti, le illusioni, le certezze di fede». A distanza d’anni, di Nola non si riconosce più in questo libro, scritto fra i 18 e i 20 anni, che definirà approssimativo, intriso di una visione ingenua e di motivazioni irrazionalistiche. Eppure, questo saggio, completamente ignorato dall’accademia italiana, Mircea Eliade lo giudicherà «riche en aperçus nouveaux, érudit et toujours interessant».

Il suo primo lavoro sul campo può essere considerato Cristo in tuta. La questione dei preti operai . (Parma, Guanda, 1954), un’inchiesta sull’esperienza culturale e politica di quei preti francesi che lottavano a fianco della classe operaia, analizzandola «come forma di ribellione nei confronti di una Chiesa immobile e come riscoperta di un cristianesimo capace di sopravvivere, nel mutato contesto storico, solo se avesse compresa e fatta propria la causa della classe operaia» (Attraverso la storia delle religioni, ibidem, p. 9). Giovani preti che appaiono anacronistici e ritardatari, osando riproporre alla Chiesa cattolica, circa settanta anni dopo la Rerum Novarum, il dramma delle classi operaie non più nei termini fossilizzati del giusto equilibrio, ma come un problema di apostolato evangelico. Esperienze che, in qualche modo, toccarono nell’intimo anche il futuro pontefice Giovanni XXIII, all’epoca nunzio apostolico a Parigi, molto aperto e disponibile, durante tutto il suo pontificato, ai problemi delle classi più deboli. Di Nola traccia una storia del movimento dei preti operai evidenziandone le premesse nelle opere del padre domenicano M.-R. Loew e soprattutto in quelle de l’abbé Godin e Daniel (La France, pays de mission?, Paris, 1943) – che definiscono gli aspetti sociologici e statistici del problema – e i punti fondamentali nelle lettere pastorali del cardinale Emanuele Suhard, arcivescovo di Parigi, il primo a tentarne una sistemazione teologica. In una ricca appendice sono riprodotti i più importanti documenti apparsi dal 1953 al 1954, periodo in cui il movimento è sconfessato e condannato dalla curia romana, come dalla lettera del cardinale Pizzardo del 27 luglio 1953 che proibiva «in modo assoluto a tutti i seminaristi di Francia, senza eccezione alcuna, di occuparsi come apprendisti in lavoro di qualsiasi genere».

Nel 1957, con la pubblicazione del volume La preghiera dell’uomo. Antologia della preghiera di tutti i tempi e di tutti i popoli (Parma, Guanda, 1957), di Nola propone uno straordinario viaggio attraverso le forme che in ogni tempo assumono i desideri, i bisogni, la religiosità di tutti i popoli del mondo. La preghiera, come nucleo essenziale di tutta la dinamica religiosa, viene a rappresentare l’eterno dialogo fra l’uomo e le sue divinità, tra la creatura inchiodata al suo spazio e al suo tempo e le energie cosmiche: dall’ingenuo grido desolato del primitivo invocante protezione contro il fulmine o cibo per i suoi piccoli al complesso testo di una liturgia shintoista. La raccolta comprende testi appartenenti alle popolazioni tradizionali ed arcaiche di livello etnologico, ai popoli dell’America precolombiana, alla religione nazionale cinese, al Confucianesimo, al Taoismo, al Tibet, al Giappone, alle varie forme di Buddhismo, all’Induismo, all’Egitto, alla Mesopotamia, all’Iran, ai Greci e Romani e ai Cristiani. Opera tradotta in Inghilterra (Heinemann, 1961), Francia (Seghers, 1958), Stati Uniti (Obolensky, 1961) e Germania (Diederichs, 1963), ristampata in edizione ridotta in Germania (Ebner, 1977) e da ultimo in Roma, Newton Compton, nel 1988.

Questo vagare attraverso il misterioso mondo religioso dell’uomo e in particolare delle culture primitive porta di Nola anche alla raccolta di un vasto materiale che esula dal campo della preghiera e della magia presentandoci un mondo, quello indicato come “primitivo” utilizzando un termine non appropriato, sotto un aspetto completamente nuovo e molto affascinante. Tale materiale è stato riunito nel volume I canti erotici dei primitivi (Parma, Guanda, 1961, II ed.1964, ripubblicato negli anni Settanta a Roma da Lato Side; e a Milano, Garzanti, 1971). Antologia in cui di Nola raccoglie il meglio dei patrimoni d’amore e di poesia salvati dagli etnologi negli ultimi decenni presso i popoli “primitivi”. Canti – lui utilizza intenzionalmente il termine «canti» e non «poesia» per accentuare l’intima e permanente connessione tra il ritmo musicale e la parola in questo tipo di manifestazioni estetiche – di una semplicità impressionante, poche, crude linee con la nudità dei sentimenti eterni, cristallizzati, d’una umanità ferma al tempo dei lirici greci, a cui si affiancano canti che rivelano tecniche erotiche complicatissime: «immagini di terre lontane, sognanti visioni di uomini che ardono, sotto altri cieli, delle nostre stesse passioni». Con un ricco corredo di note, fonti, bibliografia, questa antologia diventa un’efficace introduzione ai metodi dell’antropologia culturale per chi sia mosso da una curiosità intelligente verso questi fenomeni, permettendo di affrontare senza difficoltà lo studio di opere specializzate in materia.

Tappa finale di questo affascinante viaggio può essere considerato il volume Dal Nilo all’Eufrate. Letture dell’Egitto, dell’Assiria e di Babilonia (Novara, Edipem, 1974) dove sono raccolti testi, documenti, inni, miti, racconti e poesie profane di un mondo, quello vicino-orientale, che, nonostante la distanza millenaria fra noi e loro, rappresentano le radici dalle quali fluisce la nostra attitudine a trasformare la creazione poetica e narrativa in segno. Segni (geroglifici, cuneiformi, alfabetici o digitali) che testimoniano il lungo percorso fatto dall’uomo per passare dallo stato di natura a quello di cultura, dal sogno di Gilgamesh alla civiltà atomica. Quelli babilonesi, egizi, fenici erano degli universi culturali integrati o globali, chiusi l’uno all’altro, con una visione del mondo unitaria senza distinzione fra il piano mitico e quello storico-umano, fra il lavoro dei campi e le energie misteriose del cielo e della terra. Commistioni espresse nelle narrazioni qui raccolte in cui tutti i livelli si confondono e gli dèi intervengono nella vita quotidiana dell’uomo e i re operano come divinità, anche se talvolta emerge l’uomo di sempre, nella sua nudità esistenziale, come creatura con l’angoscia di morte sottoposta al peso di un destino immodificabile (Gilgamesh), e l’umanità di ogni giorno del contadino trascinato per le corti di giustizia o la passione d’amore dell’uomo comune.

 
L’interesse per i Vangeli apocrifi

Negli anni Sessanta di Nola traduce e cura, sempre per Guanda, i testi apocrifi neotestamentari dei Vangeli, più volte ripubblicati anche da altri editori: L’evangelo arabo dell’Infanzia (Parma, Guanda, 1963); L’evangelo della natività (Pseudo-Matteo), (Parma, Guanda, 1963); Protovangelo di Giacomo: la natività di Maria, (Parma, Guanda, 1966), poi ripubblicati in un volume unico dal titolo Vangeli apocrifi. Natività e infanzia, (Parma, Guanda, 1977, 1986, 1993; Roma, Lato Side, 1979, con un’intervista di Michele Straniero; Milano, TEA, 1996). Traduzione integrale di tre testi riguardanti la natività della Madonna e l’infanzia di Gesù, con un’appendice di documenti che integrano e illuminano alcune tematiche presenti in essi. Nascita verginale di Maria, la sua adolescenza, il matrimonio con Giuseppe, la nascita di Gesù, i miracoli, i giochi, la scuola; Gesù che ammansisce i draghi, entra nella tana della leonessa, apre le acque del Giordano, caccia i demoni, svela i misteri dell’alfabeto e dell’astronomia… Leggende solo apparentemente ingenue, presenti da sempre nella tradizione popolare. Per secoli se n’è fatta una lettura a livello popolare seguendo i toni di narrazione fantastica del testo, perdendo di vista la complessità e ricchezza dei contrasti dottrinali e delle dispute teologiche che stanno dietro a questo quadro di spontaneità e gratuità narrativa solo apparente. Contrasti e dispute che agitarono i primi secoli della storia della Chiesa declinante verso un cristianesimo temporale e postcostantiniano. Una volta venute meno le polemiche, si è avuta una riutilizzazione popolare e subalterna di questi testi, valorizzando i messaggi di affabulazione e fantasia nella predicazione popolare, nella pittura e nella scultura. Questo corpus fantastico relativo alla vita di Maria e di Gesù bambino corrisponde, secondo una visione gramsciana, ad una trascrizione mitizzata di una controversia di livello egemone e culto.

Ancora dalla tradizione apocrifa, relativa alla vita e agli insegnamenti di Cristo e delle prime comunità dei suoi seguaci, trae origine il volume Parole segrete di Gesù, (Boringhieri, Torino, 1964; ristampato da Lato Side, Roma, 1980, e da Newton Compton, Roma, 1989 con il titolo Gesù segreto. Ascesi e rivoluzione sessuale nel cristianesimo nascente). In quest’opera s’illustrano e commentano, in una visione interdisciplinare, i loghia («le cose dette») e gli agrapha («le cose non scritte») più significativi di un mondo agitato e affascinante quale era quello del cristianesimo primitivo animato da polemiche furibonde sulla figura di un “Gesù segreto”, “diverso”, quale emerge da questa tradizione apocrifa («nascosta»). Alfonso di Nola propone una lettura storico-religiosa dei testi, tentando di inserirli, ogni volta, nelle ideologie di fondo, delle quali essi sono incomplete manifestazioni e, per chi sia interessato ad una lettura filologica dei testi, propone suggerimenti ed orientamenti che possano aiutarlo a districarsi nella selva dei loghia e degli agrapha. Molto ricche e aggiornate sono le indicazioni bibliografiche presenti sia nel testo sia al termine di ogni sezione.

Nel 1966 traduce e cura per Vallecchi (Firenze, ristampato a Roma nel 1980 da Newton Compton) La storia dei re magi di Giovanni da Hildesheim, monaco carmelitano tedesco del XIV secolo, proponendo una lettura critica del fugace episodio evangelico dei Magi che, al di là del compiacimento per il fantastico, riconduce a tutte le fonti parallele greche, siriache, latine e sassoni. Di Nola rifonde in quest’opera il materiale documentario raccolto in lunghi anni di ricerca trasformandolo in una narrazione felice, libera da inceppi critici, compiaciuta di stranezze e di curiosità attinte alle svariate fonti prima indicate senza, per questo, togliere l’incanto dello scritto originario che fa rivivere terre e personaggi lontani con la freschezza e il candore di chi andava scoprendo mondi nuovi e meravigliosi. Un testo «tracciato da un pennello festoso», diceva Goethe, che per primo aveva riscoperto e riproposto la piccola e suggestiva opera del frate tedesco.

Sempre all’interno di questa tradizione apocrifa di Nola individua un ulteriore percorso, quello “apocalittico”. Apocalisse significa, originariamente, svelamento, rivelazione di cose nascoste, di segreti naturali fatti dagli uomini, o di segreti divini non conoscibili per vie naturali (versione dei LXX della Bibbia). Il termine fu applicato agli stessi scritti che contengono tali rivelazioni, sia apocrifi sia canonici, i quali esprimono, in un’ideologia spesso folle e maniacale, una fuga dalla realtà e dal presente, l’incapacità di sopportare la storia e di vincerla trasferendo tutto nella parusia gloriosa del Cristo che dovrebbe ricollocare l’uomo in una sua situazione liberata da sofferenze ed angosce, ma preceduta da un annunzio escatologico di disastri e di crolli, una distruzione totale del tempo che coinvolge le stesse strutture cosmiche. Proprio a questa visione del mondo apocalittica, quale si sviluppò nella storia cristiana, di Nola dedica un nuovo lavoro, Apocalissi apocrife (Parma, Guanda, 1978; rist. Milano, TEA, 1993), proponendo un viaggio verso mondi oggi non più credibili ma comunque verso la dimensione di un quadro culturale nel quale l’istinto apocalittico, sottostante ad ogni epoca, si delinea in una sua chiarezza e decodificabilità immediate di immagini. I testi esaminati, non da un punto di vista filologico ma contenutistico, cioè con un criterio fondato sulla sostanza dei temi individuati in essi, non appaiono come distanti esercitazioni dotte di monaci, ma come base e origine di un disagio del tempo sempre riemergente, in ogni epoca, ininterrottamente fino a noi, quindi una sequenza fra pensiero apocalittico cristiano tardo-antico e apocalitticità presente.

 
Gli anni dell’Enciclopedia
 

Sono anni, questi, molto intensi e prolifici per di Nola che, nella volontaria rinunzia ad ogni ambizione accademica, e al di là delle numerose pubblicazioni già elencate, è venuto maturando un alto livello di specializzazione nella ricerca storico- religiosa portando avanti un progetto complesso ed immenso nello stesso tempo, a cui dedicherà ben dieci anni di lavoro, per quindici ore il giorno, che culminerà con la pubblicazione di un’opera monumentale l’Enciclopedia delle religioni (6 voll., Firenze, Vallecchi, 1970-1976). Quest’opera non viene a colmare, come vedremo, solo un vuoto culturale nelle scienze storico-religiose, ma rappresenta una sfida, da un lato commerciale – sono anni in cui l’editoria italiana attraversa una profonda crisi – e dall’altro soprattutto una sfida culturale. La sfida è accettata dalla Vallecchi, nella persona di Mario Gozzini e Geno Pampaloni, che tra il 1970-1976 pubblica regolarmente i sei volumi dell’Enciclopedia, che andranno rapidamente esauriti, nonostante il raddoppio della tiratura delle copie inizialmente previste.Ottenere un’unità di stile sarà la maggiore preoccupazione di di Nola e dell’Editore, e questa sarà il criterio essenziale che guiderà anche la scelta dei responsabili per la parte cristiana. Di Nola redige personalmente le voci teoriche e quelle relative alle religioni non cristiane, pari all’80% delle voci, come noterà Mircea Eliade in una sua recensione su «History of Religions», mettendo a frutto un’informazione vastissima, mantenendo una singolare unità di stile e di impostazione quale raramente è dato trovare in opere enciclopediche. Questo fatto susciterà, inizialmente, una certa prevenzione nei confronti dell’opera, non potendosi pretendere che una sola persona fosse specializzata in tanti campi diversi, anche se vicini. «Tuttavia – dirà Giuseppe De Rosa («La Civiltà Cattolica», 17/10/1970) – un esame dei suoi contributi ha convinto dell’eccezionale preparazione di A. M. Di Nola e della sua profonda competenza e serietà scientifica. Il vastissimo apparato bibliografico, che segue ogni trattazione, mostra come egli si è informato sulle opere dei migliori specialisti». «Essa viene a colmare – continua ancora il gesuita – un vuoto nella cultura italiana, la quale, ad essere sinceri, è stata nel recente passato piuttosto allergica alla problematica storico-religiosa in genere, nonostante la presenza di studiosi di vaglia come, per fare un solo nome, il Pettazzoni». Un’opera con cui l’Italia si affianca, senza sfigurare, all’Inghilterra e alla Germania che vantano rispettivamente The Encyclopaedia of Religions and Ethics a cura di J. Hastings e Die Religion in Geschichte und Gegenwart a cura di K. Calling. Anche il papa Paolo VI riconobbe l’utilità dell’opera ideata da di Nola: «Ma succede questo, che mentre cresce ai nostri giorni l’interesse culturale rispetto alle varie religioni, si vedano le poderose enciclopedie pubblicate a tale riguardo in questi ultimi tempi […] in Italia, ad esempio […] quella in corso di pubblicazione, diretta da Alfonso Di Nola e coordinata da Mario Gozzini» (L’Osservatore Romano, 12 gennaio 1972).

Il metodo utilizzato da di Nola, nel redigere le voci dell’Enciclopedia, è quello proprio della scuola storica italiana avviato dal Pettazzoni e consiste nell’analizzare la fenomenologia e la tipologia religiosa come fatti culturali con metodo storico- scientifico e soprattutto antropologico. Infatti per lui il confine tra la storia delle religioni e l’antropologia è estremamente labile, o non esiste affatto.

Le notevoli capacità di sistemazione teorica e di lucidità descrittiva riconosciute nel grande successo internazionale della Enciclopedia delle religioni rendono di Nola un indispensabile collaboratore in opere che segnano la storia della cultura italiana quali l’Enciclopedia (Einaudi), per cui redige voci come «Enigma» (vol. V, pp.439-462, 1978), «Libro» (vol. VIII, pp.260-286, 1979), «Origini» (vol. X, pp.199-218, 1980) e «Sacro/Profano» (vol. XII, pp.313-366, 1981); l’Enciclopedia Italiana (Treccani) con le voci «Religioni, storia delle» e «Razzismo»; l’Enciclopedia Europea (Garzanti), il Dizionario degli Istituti di Perfezione (Ed. Paoline), e la voce «Religione» del Vocabolario della lingua italiana (Zanichelli).


Nel 1974 pubblica Antropologia religiosa (Firenze, Vallecchi, ristampato a Roma, Newton Compton, 1984), che Pier Paolo Pasolini definisce «un vero e proprio “Manifesto” che potrebbe addirittura aprire, nel nome, sia pur tutelare, di De Martino e magari di Pettazzoni, la “via italiana” alla storia delle religioni». Un testo con il quale di Nola si inserisce, nonostante la scarsa accoglienza da parte del mondo accademico, nella tradizione italiana di studi storico-religiosi tracciando un percorso autonomo e originale, interpretando i comportamenti socio-religiosi in una prospettiva antropologica attraverso lo studio di alcuni problemi religiosi e culturali. Un libro con cui di Nola promuove un modo nuovo di fare storia, un’indagine attenta e rispettosa, volta a raccogliere i messaggi di cultura «dovunque e comunque» l’uomo li produce. Questo libro è appunto un modello di ricerca storica guidata dall’antropologia, uno straordinario viaggio nell’homo religiosus di tutte le latitudini, un’esemplare testimonianza di rigore metodologico e di paziente curiosità culturale. «I dati raccolti dallo storico, scrive di Nola (nell’edizione del 1984 edita dalla Newton Compton), si ricompongono qui in una cauta e controllata interpretazione che coinvolge anche motivi direttamente interessanti per il nostro attuale essere nel mondo. Che significato ha il ripetere i modelli di azione? che cosa significano alcune demitizzazioni infantili come la Befana o l’uomo nero? quali significati si nascondono dietro il nostro ridere e il gusto per l’osceno?».

 
 
Gli anni dell’insegnamento: una lettura laica del fatto religioso
 

In questi anni di Nola approda all’insegnamento universitario, prima ad Arezzo, sede staccata dell’Università di Siena, titolare della cattedra di Storia delle religioni, dove comprende che bisogna fare un tipo di università nuova che, rompendo con ogni accademia, coinvolgesse gli studenti nei problemi della propria cultura, del proprio riconoscimento portandoli a scoprire le radici delle loro tradizioni direttamente sul campo. Frutto di questa sua metodologia sarà una grossa inchiesta sul campo condotta in Casentino insieme agli studenti del suo corso (Inchiesta sul diavolo, Bari, Laterza, 1979). Un’inchiesta con cui di Nola mira a provare che la “superstizione”, come momento negativo dello sviluppo storico, non è soltanto un’eredità del profondo Sud, eredità negativa, anche se involontaria, degli studi di Ernesto de Martino, ma è presente ovunque, anche in mezzo a comunità decisamente avanzate industrialmente, come possono essere quella toscana, quella torinese o dell’hinterland milanese. Gli studenti si calarono nella loro realtà e presero coscienza della situazione locale e dei suoi controsensi scoprendo un conflitto non risolto fra civiltà tecnologica e mondo tradizionale, dove operai di fabbrica, capaci di costruire il mondo con le loro mani, hanno contemporaneamente bisogno della strega e della guaritrice: una forma di schizoidismo culturale determinato dalla mancanza di certezze, di valori, che determina una destabilizzazione delle coscienze che spinge alla ricerca dell’ignoto, dell’assurdo e del fantastico. Una società, quindi, in una fase di transizione caratterizzata da due piani inconciliabili, quello della tecnocrazia avanzata e quello dell’irrazionale e della ricerca di identità in cui il diavolo può divenire il referente dell’identità perduta. Contemporaneamente è chiamato a Roma presso la Scuola di perfezionamento in Scienze storico-morali e sociali della Facoltà di Filosofia dell’Università “La Sapienza” come docente di Storia del folklore europeo, e nel Pontificio Ateneo Antoniano di Roma come professore di Storia delle religioni non cristiane.

 

Nel 1977 passa a Napoli all’Istituto Universitario Orientale dove terrà la cattedra di Storia delle religioni fino al 1991, anno in cui è chiamato a Roma presso la nascente Università di Roma Tre a ricoprire lo stesso incarico e dove, contemporaneamente, gli è affidata per tre anni la supplenza di Antropologia culturale. Durante il periodo napoletano avvia una stretta collaborazione con alcuni psichiatri di scuola napoletana come Dargut Kemali, Raffaello Vizioli, Antonio Scala e Antonio De Rosa e, per alcuni anni, è incaricato anche dell’insegnamento di Psichiatria transculturale presso la Scuola di specializzazione in Psichiatria del I° Policlinico di Napoli diretta dal Prof. Dargut Kemali. Nel corso delle sue lezioni di Nola, attraverso un rilettura critica di Georges Devereux, considerato uno dei padri dell’etnopsichiatria, ha come obiettivo quello di indirizzare i giovani medici che dovranno divenire psichiatri verso un’etnopsichiatria “interna”, “europeista”, dove ogni forma di follia diversa da quella borghese ed egemone non sia più cancellata o ad essa livellata, dove il medico sappia di quanto avviene nella percezione del mondo di un contadino abruzzese o campano, che entra in una corsia d’ospedale, affetto da delirio di grandezza senza dover ricorrere a materiali su popolazioni estranee al nostro mondo ma attraverso una rilettura antropologico-critica dei repertori classici sulla medicina popolare italiana ed europea come Ernesto de Martino ci ha insegnato.

Questi anni segnano una svolta nell’attività scientifica di Alfonso di Nola: l’inizio di un’intensa e continua ricerca sul campo che porterà alla pubblicazione di testi che divengono dei classici dell’antropologia italiana postdemartiniana come Gli aspetti magico-religiosi di una cultura subalterna italiana (Torino, Boringhieri, 1976, e ristampato, sempre per i tipi di Bollati Boringhieri, nel 2001). Quest’opera raccoglie i risultati di un ciclo di ricerche compiute in Abruzzo fra il 1973 e il 1975. Una realtà, quella abruzzese, che, data la collocazione periferica avuta sia storicamente che geograficamente rispetto al resto del Paese, culturalmente può essere qualificata come contadina nel momento in cui ne analizziamo le sovrastrutture e le ideologie, ma non in relazione alle strutture e ai rapporti reali di produzione. Di Nola, rifiutando ogni interpretazione di tipo meccanicistico, ha inteso in primo luogo verificare la validità del principio marxista sopra esposto e la metodologia che egli utilizza è chiaramente espressa nella IV di copertina: «Gli strumenti analitici del neomarxismo – all’incontro tra canoni storico-materialistici e metodi antropologici – sono qui diretti a interpretare tre campioni del patrimonio religioso e magico dei ceti rurali italiani: il culto dei serpenti, i rituali del bue genuflesso, l’allevamento sacrale del maiale di sant’Antonio abbate, tutti appartenenti a una cultura abruzzese coinvolta nei processi di rifondazione industriale. Immagini arcaiche che a una lettura critica si rivelano per quel che sono, frammenti di articolate visioni del mondo sorte dal retroterra economico e politico della società contadina centro-meridionale. La ricerca segue gli spaccati diacronici dei culti, ne ricompone la storia silenziosa ai margini della produzione colta, nascosta nelle pieghe dei documenti di archivio, fino all’esito odierno: il revival spontaneo delle feste. Un fenomeno quest’ultimo di cui si può ora comprendere il significato: quello di un recupero d’identità umana da parte di folle rurali che la violenza neocapitalistica proietta nel tessuto insensato della città e della sua dinamica consumistica». Una ricerca che, oltre che per i contenuti e per il metodo seguito, è rilevante per aver restituito dei comportamenti rituali alla realtà sociale da cui essi traggono origine liberandoli dalla speculazione turistica e pseudo-folklorica che privilegia solamente gli aspetti più appariscenti e coreografici, quella che lui chiama «rapina antropologica» .

 

La sua ricerca sulle tradizioni e sui fatti religiosi, sempre accompagnata dal diretto contatto con i portatori di tali dati culturali, lo portano, dopo una rigorosa verifica filologica senza lasciarsi fuorviare da facili comparativismi, a liberarli dal confinamento delle piccole realtà locali riproponendo tali dati, appartenenti a una comune stratificazione europea e mediterranea, come momenti della storia universale. In quest’ottica si muove il volume L’arco di rovo. Impotenza e aggressività in due rituali del Sud (Torino, Boringhieri, 1983) che ha come aree di ricerca fondamentalmente la Puglia, la Lucania, l’Abruzzo e il Molise. Il contenuto e il metodo sono chiaramente ed esaustivamente indicati nella IV di copertina che integralmente riportiamo: «La ritualità delle plebi contadine viene qui studiata in due campioni esemplari: il cerimoniale dell’incanata, che accompagna la fatica di braccianti e raccoglitori, tecnica arcaica di controllo dell’aggressività attraverso la periodica liberazione dell’oscenità e della violenza; il rituale pagano-cristiano della cura dell’ernia infantile che, attraverso il passaggio di un bambino in un arco costruito con rami di rovo, mira a difendere i poteri generazionali maschili nel mondo rurale. L’analisi parte dai dati raccolti sul campo in aree italiane, ma si estende subito a remote antichità e a territori geografici molto ampi, sollevando lo studio di certi comportamenti tradizionali a storia antropologica generale. Viene così alla luce una cultura subalterna europea che è ancora possibile scoprire nella sua autenticità».

 
Impegno civile e divulgazione …
 

Sono, questi, anche gli anni dell’impegno civile e della divulgazione attraverso gli innumerevoli articoli sui maggiori quotidiani nazionali e riviste, i continui dibattiti televisivi e radiofonici che lo portano già nel 1972 alla pubblicazione di un libro-documento sulla consistenza e diffusione dei fenomeni antisemitici ancora presenti in Italia: Antisemitismo in Italia. 1962/1972, (Firenze, Vallecchi, 1972), affrontando e additandone le matrici culturali, sociali e politiche, in primo luogo quelle nazifasciste e allargando la ricerca anche ad aree che sembravano immuni da questa infezione: i cattolici di sinistra e la sinistra marxista, trovando anche qui, anche se occasionali, segni di cedimento e disorientamento che portavano, da posizioni antisioniste, ad uno slittamento verso posizioni antisemite. Un libro che ha avuto l’effetto di un sasso gettato (intenzionalmente) nello stagno provocando una serie di reazioni a catena sia della destra che della sinistra; reazioni non sempre corrette o pacifiche che l’autore ha subìto in prima persona. Reazioni che non lo spaventano, anzi che rinsaldano il suo interesse per l’ebraismo non solo come oggetto di studio.

Di Nola vive le sue lontane origini ebraiche con più orgoglio elaborando un rapporto particolare e privilegiato con l’ebraismo. Non a caso nel 1984 ripubblica un volume, edito a Napoli vent’anni prima dal titolo Magia e Cabbala nell’ebraismo medioevale (Napoli, S.T.E.M., 1964), per l’editore Carucci con il nuovo titolo Cabbala e mistica giudaica in un momento in cui l’interesse per i movimenti spirituali ed esoterici è in crescendo e non sempre in modo chiaro e corretto. Uno studio sui rapporti fra misticismo ebraico medioevale e correnti ascetiche cristiane e orientali. Cabbala, che in ebraico significa “tradizione”, originariamente ha valore di “ricevere”, ricevere qualcosa da qualcuno, in senso materiale, e solo in seguito di “tradizione”: trasmissione del pensiero mistico attraverso le generazioni prima come dottrina segreta riservata solo a pochi eletti e dopo come argomento di studio per chiunque ne fosse attratto. Quindi niente a che fare con la parola “cabala” usata comunemente in Italia dove è diventata sinonimo di “smorfia”, il gioco napoletano dei numeri al lotto, o in Francia con il valore di “imbroglio”. Un vocabolo italiano più vicino al significato originario del termine è “gabella” passato a noi dalla lingua araba designante la ricevuta di una tassa pagata. Data la confusione e qualche volta anche un interesse malsano verso quest’argomento, di Nola ha voluto ripubblicare quest’opera in cui analizza tutte le fasi attraverso le quali il misticismo ebraico è passato nei secoli, riuscendo a dare un’idea chiara e fedele dei principi e delle motivazioni della Cabbala come “via” per scoprire Dio e individuare il modo per potersi avvicinare a lui. E ancora nel 1996, pochi mesi prima della morte, pubblica con gli Editori Riuniti Ebraismo e giudaismo, una monografia di presentazione di base dell’ebraismo, ripresa, ma aggiornata, dalle voci da lui scritte per l’Enciclopedia delle religioni; e ancora, per i tipi dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato – Editalia, un ampio articolo dal titolo «Ebrei, musulmani e zingari nella storia europea» (in L’Europa dei popoli, vol. 2, pp.285-311), un saggio in cui descrive tre minoranze, tre diversità etnicoculturali, tuttora presenti in Europa, che si sono sottratte ai processi di totale assimilazione e di europeizzazione conservando la loro identità e che tuttavia si inseriscono con pieno diritto nelle strutture storiche europee spesso qualificandole attraverso forme culturali miste, scambi e sincretismi. Sempre all’interno della stessa opera (L’Europa dei popoli) nel I volume (pp.171-228) pubblica un altro ampio saggio dal titolo «Le religioni», un excursus sulle correnti religiose nella storia europea partendo dalle religioni della preistoria fino alla rivoluzione cristiana.

Nel 1989, dietro la spinta dei frequenti episodi di cronaca legati a fenomeni di intolleranza verso esponenti del mondo islamico in Italia ed immigrati del Nord Africa di religione musulmana, di Nola scrive un libro (L’Islam, Roma, Newton Compton, 1989, II ed. 1998) con l’intento di fornire soprattutto ai giovani la possibilità di comprendere una realtà ricca e complessa, quella islamica, che non merita di essere identificata con l’intolleranza e il fanatismo ma portatrice di una cultura e di una religione grandi quanto quelle cristiana ed ebraica e che, quindi, disconoscere la loro valenza culturale significa vivere nell’ignoranza. Un libro quindi con un preciso obiettivo pedagogico più che un approfondimento della dottrina islamica a cui farà seguito la pubblicazione di una vita del Profeta Maometto (Maometto, Roma, Newton Compton, 1996).

Sempre vigile contro ogni forma di occultismo e di abuso della credulità popolare e delle superstizioni, di Nola, con uno scopo chiaramente etico-politico, pubblica una serie di volumi volti alla denuncia di forme di prevaricazione ideologica, a volte anche gravi, che determinano delle situazioni di violenza sulle persone, sugli uomini e soprattutto sulla mente degli uomini. Il primo di questi volumi a venire alla luce è Il diavolo. La sindrome demoniaca sovrasta l’umanità (Roma, Scipioni, 1980), seguito da Il diavolo (Roma, Newton Compton, 1987), tradotto in tedesco (Diederichs, 1990), in spagnolo (EDAF, 1992), in polacco (Universitas, 1997) e in ceco (Volvox, 1998).Oggetto di questo libro è la figura del diavolo, nelle sue varie forme, nella sua storia presso le culture di tutto il mondo dall’antichità ad oggi, una sorta di viaggio in cui l’autore indaga, annota e riporta, con un linguaggio scorrevole ed avvincente nonostante il carattere scientifico dell’opera, tenendo sempre presente il pubblico a cui il libro è rivolto e non il mondo accademico. Di Nola ci presenta il diavolo come una proiezione del male che risponde a meccanismi socio-psicologici universali, della quale quella cristiana costituisce soltanto un tipo storico di una fenomenologia molto ampia che ha le sue origini nell’ambito della tradizione semitica. Il diavolo, quindi, come proiezione dell’esperienza di quei mali storici e naturali vissuti come inspiegabili e inaccettabili che attentano alla pienezza dell’essere. Un rifiuto della realtà biologica e naturale nella sua carica di negatività che determina un’angosciante ricerca delle motivazioni del male che si acquieta soltanto individuandone l’origine nell’universo demonologico. Purtroppo il demonio non è servito soltanto a sanare questa angoscia in quanto, in Occidente, è servito soprattutto alle tragiche dinamiche della demonizzazione con cui si sono identificate al male e al diavolo specifiche aree umane ed etniche divenendo persecuzione, ostracismo, pregiudizio e violenza contro gruppi e persone. Fenomeno, questo della demonizzazione, presente in tutte le epoche fino ai nostri giorni come possiamo vedere dalla lettura di due capitoli della presente opera: «La demonizzazione etnica, ebrei e zingari», in cui gli Zingari, gli Ebrei, gli eretici, gli omosessuali si trasformano in figli del diavolo, e «Il diavolo e il nostro tempo» dove il mondo appare diviso, secondo l’interpretazione dei Fondamentalisti americani, in una metà luminosa, quella occidentale, e in una metà in cui si incarna Satana, quella dei Paesi orientali. Di Nola scrive: «Ma il demonio non appartiene solo a remoti deliri, a stratificazioni arcaiche, a sepolti universi mitologici: ancora oggi viene pericolosamente rievocato, e corriamo il rischio di rifiutare, ancora una volta, di prendere coscienza della storia». Atteggiamento, questo, della Chiesa cattolica che ha insistito per anni sulla realtà del demonio, sulla presenza di lui in questo mondo, sul rischio degli indemoniamenti organizzando piccoli gruppi di esorcisti autorizzati, dando in qualche caso spazio a fenomeni di psicosi collettiva come quelli che caratterizzano le riunioni dei seguaci del vescovo Milingo.

Ma non sempre le superstizioni – come quella del diavolo – sono intese a danneggiare la figura dell’uomo a terrorizzarlo o ad allontanarlo dalla concreta realtà del mondo, ci sono altre superstizioni che spesso hanno un valore terapeutico come le piccole nevrosi della vita quotidiana che servono a scaricare delle energie pericolose per l’uomo rapportandolo ad una fiducia, ad una sicurezza di essere che è una necessità esistenziale, sono, quindi, meccanismi di rassicurazione, una valvola di falsa sicurezza, attraverso cui gli individui e i gruppi immaginano giustificazioni dei loro fallimenti, e che emergono con forza nei periodi storici in cui vi è un’incertezza fondamentale sulla propria esistenza, come l’attuale, in cui si avvertono malessere e disagio. Quindi, sostiene paradossalmente di Nola, le superstizioni «se non ci fossero bisognerebbe inventarle», e proprio ad esse dedica un volume Lo specchio e l’olio. Le superstizioni degli italiani (Bari, Laterza, 1993) un agile e divulgativo repertorio delle più diffuse forme di superstizione degli italiani interpretate nel loro simbolismo, significato, origine e condito da guizzi di umorismo.

 
 
… con particolare attenzione al mondo dell’infanzia
 

Un altro aspetto, della poliedrica figura di Alfonso di Nola poco conosciuto pubblicamente, è quello che riguarda il mondo dell’infanzia. Sempre vigile, attento e pronto a denunciare, attraverso i media, ogni tentativo di reificazione del bambino da parte degli adulti. Un’attenzione, avvertita come impegno etico e civile, che lo porta continuamente a diretto contatto con il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza attraverso molteplici interventi nelle scuole romane di ogni ordine e grado, trovando sempre il modo di osservare i materiali prodotti dai bambini, invitando i docenti a riflettere sui significati espliciti o nascosti e soprattutto a prendere sul “serio” il mondo simbolico del bambino, a farlo emergere e rispettarlo, misurandosi con le differenze che abitano le nostre diverse identità e culture. A questo scopo, nel 1991, pubblica un volumetto La festa e il bambino, Roma, Nuova Eri, che è il risultato di un’inchiesta sul campo conclusasi in una serie di trasmissioni per la televisione italiana dal titolo “L’età sospesa”. L’ipotesi di partenza è quella di «isolare e distaccare dal nucleo delle festività tradizionali una stratificazione nella quale bambini e adolescenti assumano ruolo e protagonismo propri, e se, accanto al vissuto festivo dei gruppi, possa essere individuata una qualità di partecipazione, di tensione, di esperienza propria dell’età sospesa fra la nascita e la giovinezza» (p.5). Uno dei segni più importanti, emerso nella ricerca, riguarda la qualità ripetitiva di molte feste infantili, vale a dire quei contesti in cui i bambini sono assoggettati ad una pedagogia sociale imitativa dei comportamenti degli adulti realizzando una duplicazione (infantile e imitativa) della festa con una precisa funzione pedagogica: «I bambini apprendono, attraverso l’imitazione ludica, gli statuti culturali che reggono il gruppo, secondo linee comportamentali infantili che, in alcuni casi, assumono il carattere di iniziazioni di classi di età» (p. 19). Di Nola, infine, nota che le feste nelle quali realmente i bambini giocano un loro protagonismo ludico sono poche, nella maggior parte dei casi l’intervento degli adulti predomina sull’età infantile o, in alcuni casi, «vengono del tutto reificati per offrire spettacolo agli adulti e sono sottoposti a violenze che non conservano, almeno per i piccoli protagonisti, alcun elemento del festlich (il tono festivo). Essi, in questi residui di usi barbarici, appaiono intontiti oggetti spogliati del fulgore dell’infanzia».

 
Gli ultimi anni
 

Nel 1995, ormai quasi del tutto privo di vista, pubblica, in due volumi, i risultati di una ricerca sul campo, portata avanti per più di dieci anni, iniziata in Abruzzo e Molise, lungo le sponde del fiume Trigno, ed estesa poi a livello europeo: La morte trionfata. Antropologia del lutto e La nera signora. Antropologia della morte (Roma, Newton Compton). Nel primo volume di Nola, per la prima volta, affronta il problema del lutto a 360° gradi in una prospettiva assolutamente laica partendo dal presupposto della morte come fatto puramente biologico intorno al quale, nel corso dei secoli, si è concentrata una serie assai complessa di istituzioni culturali sorte con lo scopo di determinare, da parte dell’uomo, un trionfo sulla morte. Da qui il titolo del libro La morte trionfata con cui l’autore vuole mettere in risalto il significato positivo e vitale del lutto come sistema rituale e tradizionale, comune a tutte le culture, attraverso cui l’uomo ha sempre trovato una risposta al disorientamento derivante dalla perdita della persona cara, consentendogli di superare il trauma della morte. Nel libro, attraverso le più diverse testimonianze, da quelle delle popolazioni senza scrittura a quelle della società contemporanea e industriale, di Nola ricostruisce e interpreta, in modo esemplare e nuovo, le tecniche del cordoglio quale momento essenziale che garantisce la continuità della storia trasformando l’inaccettabilità dell’evento fisiologico in memoria distante e protettiva. Partendo dall’analisi illuminante fatta da Ernesto de Martino nel 1958 in Morte e pianto rituale, che del lutto analizzava solamente gli aspetti centrali del lamento funebre e soprattutto come pratica tipicamente mediterranea, di Nola affronta, in contesti culturali assai differenziati, le molte altre invenzioni culturali, che concorrono a produrre la stessa efficacia rivitalizzante e a reintegrare i luttuati nella pienezza di vita. Quindi il lutto visto come sistema, antropologicamente positivo, che si oppone al morire e che riconduce alla fruizione del vivere, anche attraverso i segni simbolici del pane, del sesso e del gioco come forme attraverso le quali, nella crisi rappresentata dalla morte, si riaffermano i valori della vita e del vigore opponendoli ad essa.

Nel secondo volume, La nera signora, affronta il problema delle rappresentazioni e ideologie della morte ripercorrendo la grande varietà delle esperienze umane che, «respingendo le consuetudini laiche del morire, affidano la sorte finale al gioco delle speranza e riscattano il gruppo dal coinvolgimento in esso». L’uomo nel suo vissuto quotidiano vive, come se non dovesse mai morire, in una negazione della realtà, una realtà disturbante ed inevitabile a cui, la morte drammatica ed improvvisa dell’altro, ogni volta ci richiama provocando, in noi e nel gruppo cui il morto appartiene, un trauma di angoscia, di smarrimento e di perdita della propria sicurezza storica. Tutte le culture, in diverse modalità, hanno creato dei meccanismi di difesa o sistemi ideologici miranti ad attenuare e risolvere tali situazioni conturbanti sostituendo alla realtà fisiologica della morte la diversa realtà culturale della possibilità di un’altra vita proiettata nella sfera dell’immaginario e dell’ideologico. Abbiamo, ad esempio, la mitologia della reincarnazione o il passaggio ad una beatitudine eterna o ad un mondo infernale che alimenta paura e disperazione; espedienti mitici che comunque permettono al morto di continuare ad avere un qualche rapporto con il mondo dei viventi; oppure meccanismi di tipo rituale-operativo come i sistemi di lutto descritti nel volume La morte trionfata, che attraverso forme di assistenza reciproca, consentono alla persona colpita dalla perdita di non sprofondare nel vortice di problemi disperanti ed insoluti ma di risolvere la drammaticità del momento trasformandola in una nuova sicurezza che è la vittoria stessa della vita messa in crisi.

 

Ultimo, un breve volume risultato da una serie di interviste, Attraverso la storia delle religioni (Roma, Di Renzo Editore, 1996). Qui di Nola traccia in maniera divulgativa un profilo della Storia delle religioni rendendolo, grazie alla sua arguzia e al suo senso dell’humor, un racconto molto godibile attraverso il resoconto della sua attività di studioso, che continuamente intreccia con argomentazioni autobiografiche.

Alla fine del 1997, a quasi un anno dalla scomparsa di di Nola, viene pubblicato postumo Campania Felix (Roma, Editalia), un libro che raggruppa in un corpo omogeneo e significativamente strutturato le varie e più ricche feste religiose campane. Di Nola, durante la prima stesura del lavoro, avverte il rischio metodologico di incorrere, in una rassegna antologica, in una sorta di antropologia storico-religiosa puramente geografica ma in lui prevale l’obbligo intellettuale di elevare l’istituto festivo campano a veicolo culturale estremamente aggregante e socializzante, a luogo spazio-temporale di recupero di identità nella valenza liberatoria, gioiosa e giocosa, dello spiegamento eccezionale ed occasionale del vissuto festivo. Nell’organizzare i materiali, ancora in forma di bozza, si è pensato ad una divisione di essi secondo una cadenza stagionale: autunno – inverno – primavera – estate. Il tema delle quattro stagioni è risultato, però, essere troppo vago e generico in quanto le culture tradizionali conoscono in genere l’alternarsi di due sole stagioni, la calda e la fredda. Il caldo e il freddo rimangono elementi essenziali dei calendari popolari, evidenziando il contrasto fra una stagione di pienezza come l’estate (in cui si intensifica il lavoro di raccolta, culminante nella festa), ed una di attesa e di ritiro come l’inverno. Tale contrasto corrisponde alla dicotomia che oppone da un lato abbondanza e forza vitale e dall’altro malessere e crisi esistenziale. Si è ritenuto opportuno, quindi, ripartire questi materiali in due sezioni: vierne e staggione. La prima comprendente la fase che va (oltre la festa di San Gerardo Maiella cadente il 16 ottobre) dalla commemorazione dei morti alla Pasqua, l’altra che parte dalla festa della Madonna dell’Arco (aprendo il periodo dei grandi pellegrinaggi e della maggior parte delle feste patronali) per chiudersi con i festeggiamenti di San Michele Arcangelo. Segue una sezione, molto ampia, comprendente figure caratteristiche dell’universo popolare campano, quali Pulcinella, Padre Rocco, la mammana ecc.; alcune credenze, anche se come residui o survivals, persistono tuttora non solo nella cultura napoletana ma anche in quella dell’intero Paese, nonostante esso sembri avere i propri fondamenti nella tecnologia e nelle strutture dell’epoca postindustriale. La credenza nell’efficacia, contro malocchio e iettatura, di corna ed altri amuleti – che generalmente devono essere ricevuti in dono e non comprati; i rituali magici – peraltro diffusi in tutto il Paese – operanti fra una fitoterapia popolare e il ricorso al potere taumaturgico di santi specializzati; la divinazione volta ad accertare, la notte di San Giovanni, l’identità del futuro sposo, o connessa all’interpretazione dei sogni o dei segni che, dopo le invocazioni, vengono a presentarsi improvvisamente al devoto; l’analisi della leggenda del “noce” di Benevento come luogo d’incontro delle streghe raggiunto volando su una scopa o su un caprone; la giornata del “4 maggio” infine, data stabilita in Napoli per chi doveva cambiar casa, per scelta o perché costretto. Ciò che manca – e che comunque non era stato messo in bilancio – è l’occhio vigile, sornione ed ironico, di una sua saggia supervisione; un’abile e distaccata valutazione dell’opera compiuta che di Nola avrebbe arricchito con considerazioni di severa e rigorosa denuncia ammorbidita da tacita complicità e da profondo rispetto culturale.

 
 
Nota conclusiva

Nonostante l’indifferenza del mondo accademico, l’insegnamento di di Nola ha profondamente segnato intere generazioni che, a dispetto delle infondate critiche circa una mancata creazione di una sua scuola, ne ha realizzato virtualmente una anche se non istituzionalizzata, che si muove nella scia del suo pensiero. Basti pensare ai diversi centri studi sorti spontaneamente dopo la sua morte in diverse regioni italiane – Museo della maschera e del folklore “A.M. di Nola” di Acerra, Centro “A.M. di Nola” di Ferentino, Centro Studi Tradizioni Popolari “A.M. di Nola” di Cocullo, l’Associazione Culturale “Alfonso M. di Nola” creata a Roma nella primavera del 2002, – e al lavoro portato avanti dai suoi allievi e collaboratori nel campo della Storia delle religioni, della psichiatria, del cinema, dell’antropologia e delle tradizioni popolari. Ultimo, cronologicamente, è il Centro Studi Tradizioni Popolari “Alfonso M. di Nola” di Sant’Andrea di Conza (AV), creato e voluto dai suoi allievi e collaboratori del periodo napoletano, ma allargato anche ad altri rappresentanti locali del mondo della cultura, che a vario titolo sono venuti a contatto con di Nola, con lo scopo di promuovere e sviluppare gli studi storico-religiosi e demo-etno-antropologici in una prospettiva scientifica e “gramscianamente” seria.

Proprio come lui desiderava la sua opera non è ricordata necrologicamente ad ogni anniversario dai media o dal mondo accademico ma dalla presenza e dal lavoro di persone formatesi a una scuola che non ha mai avuto bisogno di sedi istituzionalizzate o ufficialmente riconosciute, alle quali ha trasmesso non verità assolute ma verità e metodologie di ricerca che nascevano dall’esperienza e che potevano aiutare gli altri a scoprire insieme le cose, lontano da ogni boria scientifica e accademica.

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